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domenica 20 maggio 2012

Le foto: Ouidah


«Andando verso il mare mi avvicinai alla “Porte du Non Retour”, porta del non ritorno, un monumento costruito dall’Unesco [...] la struttura perimetrale bianca della trabeazione racchiudeva il corpo marroncino del monumento, sull’architrave e sui pilastri di sostegno dei bassorilievi raffiguravano scene di schiavi inginocchiati in catene e in fila per essere imbarcati. Il blocco principale poggiava su una base di marmo bianco, raggiungibile salendo pochi scalini… »


«Un uomo con un minuscolo cappello bianco stava spazzando, chino, il pavimento ricoperto di granelli di sabbia scura. Incrociai il suo sguardo cercando un frammento di sofferenza e lo immaginai bendato e impaurito.
Guardavo negli occhi sbagliati. […]
Come tutto il resto, la schiavitù in Benin era per strada...»

domenica 29 gennaio 2012

Le foto: il villaggio 1


"...via via che ci inoltravamo nel villaggio sbucavano bambini e ragazzini da ogni angolo per vedere l'uomo bianco" 

domenica 27 novembre 2011

L’idea di fondo

Era l’anno 2000 (ecco perché a questo blog è stato assegnato l’indirizzo yovo2000).
Da qualche giorno stavo in Benin, ospitato in una missione ad Azovè. Dallo sbarco all’aeroporto non avevo incontrato alcun uomo bianco ed allontanandomi dalla costa verso l’interno ho temuto di essere finito in un film, o in un documentario girato da un temerario videomaker. Ora iniziavo a percepire la realtà condividendo il tempo con donne che agli abitanti di questo paese avevano deciso di dedicare la loro vita. Ammiravo ciò che facevano e avrei voluto anch’io fare qualcosa. Ma non ero un medico, non ero un fabbro, non ero un insegnante e non mi sarei fermato il tempo sufficiente per realizzare un qualsiasi progetto.
Avevo la sensazione che ci fosse tanto da fare, ma io… cosa potevo fare?
Cosa stavo facendo? Osservavo. Poteva servire a qualcosa? Forse si.
Perché non avevo mai sentito parlare del Benin? Perché non avevo mai saputo chi erano i beninesi? Perché non avevo mai saputo che c’erano persone che in un giorno riuscivano a realizzare più di quanto io avrei potuto fare in molti giorni?
Perché nessuno me ne aveva mai parlato.
Ecco, questo potevo fare, parlarne. Osservare e parlarne. Assistevo a qualcosa di straordinario e, pensai, riportandolo ad altre persone avrei potuto sensibilizzarne il sostegno, incuriosire o almeno lasciare una traccia di tutto ciò.
Così decisi di osservare e ricordare quanto più possibile per poi trasmetterlo ad altri.

sabato 26 novembre 2011

Benvenuto

Buongiorno a tutti.
Caro navigatore benvenuto!
Che tu sia giunto per caso o per scelta in questa pagina, ho il piacere di presentarti un nuovo piccolo tassello del progetto Yovò.
Qui ti racconterò come è nata un’idea e come, piano piano, la sto concretizzando. 

Il termine Yovò nella lingua locale di alcuni luoghi dell’Africa centrale, in particolare in Benin e in Togo,  significa “uomo bianco”.
Yovò ero io, qualche anno fa e per qualche giorno.
Yovò è il suono principale di una cantilena che i bambini recitavano vicino a me, e che mi è rimasta incagliata nell’orecchio, nonostante il passare del tempo.
Yovò è diventato il desiderio di fare qualcosa di buono, qualcosa di bello. E di farlo bene.
Yovò è stato riversato in un testo. Ad oggi non lo è ancora, ma presto potrebbe diventare un libro.
Yovò è il desiderio di raccontare la mia esperienza, affinché altri possano conoscere. Potrebbe venirti voglia di ripercorrere i miei passi, e magari fare più di ciò che io ho fatto.
Yovò, intanto, è questo blog.
Buona lettura!